Olga Visentini
La folle nottata sotto il cielo di Corfù
o del trionfo del bel canto
Unabbondanza di petali che le conferisce una forma ricca, prosperosa, dirompente; un colore brillante, che si appanna nel momento stesso in cui viene raccolta, simbolo della fuggevolezza dellamore; un profumo inebriante, che resta anche dopo il taglio, a testimoniare ciò che è stato e che irretisce lolfatto: e attraverso di esso è come se magicamente si paralizzassero tutti gli altri sensi. Questa è la rosa centifoglia, messaggera damore, germe iniziale dal quale sono nati i due notturni con unalba e un prologo della Rosa di Corfù. "La si direbbe una rosa celeste recitava Sophie, la fidanzata di unaltra opera dedicata a una rosa, Der Rosenkavalier di Strauss - non come quelle dei nostri giardini, una rosa del santo Paradiso. E quasi un omaggio dei cieli. Fin troppo forte perché si possa sopportare, vi attira come se dei legami vi serrassero il cuore".
Una trama dintrigo che ha nella rosa la prima fondamentale protagonista, e che traduce nella sensualità del canto i vapori del profumo, colpendo un senso, ludito, per significare un altro, lolfatto, inebriati entrambi fino allo straniamento: personaggi e spettatori sono trasportati per un solo istante, quello magico della rappresentazione, fuori del tempo e del mondo, lontanissimi da quella quotidianità cui alla fine dovranno tutti tornare. Ma la ro0sa è metafora anche di Sissi, laltra grande protagonista dellopera di Pasqualino Migliaccio: non ci ha lasciato anche Sissi il suo profumo, ancora vivo dopo più di un secolo dal momento in cui un anarchico ha infilato una strettissima lama nel suo corpo di strabiliante magrezza i cui petali ricoprivano, in anticipo con le mode, una anoressica ansia di intangibile beltà? Lo dice anche lantica Romance de la rose dello sconosciuto Montemont che i quattro personaggi della Rosa di Corfù cantano nella sala della musica nella scena della prova, prima della notte degli inganni: "Toute fois, quand la sort funeste /A décidé ta triste fin / Au lieu de ton éclat divin / De toi quel parfum nous reste".
Corfù era lisola dove Sissi si recava talvolta per allontanarsi dalla corte di Vienna. Stanca dei pettegolezzi e delletichetta, si immergeva nei boschi di eucalipti, tra gli olivi della terra dove Nausicaa aveva accolto Ulisse. Amante della poesia, poetessa ella stessa, aveva eretto un monumento al prediletto poeta Heine nellAchilleion di Corfù, dove si svolgono i quattro atti delloperetta. E il poeta Konstantin Christomanos era il suo lettore di greco: è Nicos, il poeta della Rosa di Corfù. I riferimenti alla realtà storica disseminati nellopera si accavallano: nella stanza dellimperatrice a Hermesvilla a Leinz dominava un quadro enorme il cui soggetto era Titania e lasino, la Titania che è richiamata nel finale secondo delloperetta di Migliaccio. E mille altri sono i richiami alla realtà storica, ma anche e soprattutto alla storia della musica.
La rosa di Corfù è unoperetta o unopera, oppure un ironico ammiccamento alluna e allaltra? Ascoltandola, sembra di essere trasportati in una di quelle stanze degli specchi dove è difficile ritrovare quale sia limmagine reale: è lapparire, dietro il quale lessere, la sostanza, sfuggono continuamente in un seguito di metamorfosi. Già nel prologo introduttivo la protagonista si finge altra da sé: è Sissi-Isotta, che canta legata allalbero della sua nave sul mare Egeo scosso dalla tempesta. Tuoni e lampi ci accompagnano fin dallesordio strumentale, secondo la migliore tradizione della musica programmatica francese: una tempesta in apertura dopera, come accade dincontrarne infinite dopo la prima, che ne inaugurò la moda nel XVII secolo, dellAlcyone di Marin Marais. Una tempesta come quella dellIphigénie en Tauride di Gluck, come quella di Zémire et Azor di Grétry, come quella del Freischütz di Weber, come quelle dei Troyens di Berlioz, come quella della Walküre di Wagner, per fare solo alcuni degli esempi famosi di grandi tempeste che costellano il panorama storico dellopera tra Sette e Ottocento. Alcune sono una pura e virtuosistica pittura musicale, altre indicano gli stati danimo dei personaggi, altre sono metafora di una tempesta più ampia, quella che confonde luniverso, altre annunciano la confusione degli eventi che regnerà nellopera. A tutto questo fa il verso Migliaccio: a "preludio" dopera, poteva mai mancare una bella tradizionale tempesta, con tanto di lampi e tuoni?
Si apre il sipario. Sissi legata allalbero della nave canta. intona le parole di Isotta quando, allinizio del primo atto del Tristan, sente la voce (anche lì, una voce) del marinaio che beffeggia la figlia dIrlanda: "Wohin Mutter vergabst du die Macht über Meer und Sturm zu gebieten?", "Dove Madre perdesti il potere di domare il mare e la tempesta?". Parole di grandiosa elevatezza, difficili, epiche: evocazioni di "uragani, fulmini, procelle, brama di strage dallimo evocata" E la "solita mania" dellImperatrice di farsi legare sulla tolda durante una "mareggiata", interferisce il parlato di Clara: et voilà, in un batter docchio spoetizzata e procella e brama di strage tristaniana con due sole parole della dama di compagnia dellimperatrice (ed è ben vero che Sissi aveva questa "mania"!). Dal canto para-tristaniano di Sissi-Isotta passiamo, dopo lo scambio di battute evocatrici di unatmosfera da opera comica tra Clara e Max, al canto para-pucciniano di Nicos, il poeta, che annuncia a Sissi larrivo a "Corfù, che olezza di rose".
Dopo lassolo di Nicos, si entra in unaltra dimensione ancora: eccoci in piena atmosfera doperetta. "Siam giunti, siam giunti, siam giunti" cantano Clara e Max, e alle loro voci gioiose - interrotte dal contraltare serio di Sissi che, sempre sul tono elevato, parla di "terra deroi" e di "elladico amor divino" - si unisce Nicos in un terzetto trionfante, "Al porto, al porto, al porto, al lido al lido al lido, allapprodo, allapprodo, allapprodo", stendendo un sonoro tappeto per laccoglienza in terra di Corfù dellimperatrice "adorabile", che fa rima con il destino "insondabile", che fa rima con il sogno "interminabile", che fa rima con il braccio "invincibile", che fa rima con la quiete "inviolabile". Una partenza ben drammatica, espressionista quella di Sissi-Isotta, che sortisce in un esordio doperetta passando attraverso le morbide e flessuose melodie del canto italiano. Ed è qui, nel bilanciamento sottile tra fare il verso alluna e allaltra dimensione storica della musica che si insinua fin da principio la scrittura di Migliaccio. Colta, ma non dotta. Una raffinata tela di riferimenti si intrecciano nella Rosa di Corfù, richiamando luniverso dellopera e soprattutto il suo canto, quel canto divino dellopera italiana e di quella tedesca: talora, nellintreccio delle voci femminili, soprano falcon e soprano leggero, e poi anche contralto, toccheremo il vertice di una sensualità sonora alla Strauss.
Laccompagnamento strumentale è ridotto: pianoforte, clavicembalo, armonium, percussioni, con larricchimento di due voci cantanti, flauto e violino; esso pure serve a dare pieno rilievo alla vocalità, ma nello stesso tempo ci inserisce nella dimensione dellopera da camera, dimensione poco nota allItalia, ma che ricorda le splendide operine su libretto di Turgenev di Pauline Viardot, non a caso grande cantante, sorella di unaltra grande cantante, la Malibran, figlia di un grande cantante maestro di canto, Garcia, e infine maestra di canto lei stessa. Appassionata della voce, come Pasqualino Migliacc0io pure lui cantante!. Nel corso della Rosa di Corfù è continuo il richiamo a una tradizione vocale che si è andata perdendo - perché era data per scontata e la si riten0eva esaurita nella banalità 㫼 nellepoca della ricerca linguistica dellarcano, tipica di una certa sperimentazione musicale degli anni più recenti che ha ipnotizzato il pubblico degli eletti, facendo perdere la dimensione della sensualità del suono talora allesclusivo vantaggio di matematiche troppo complesse perché anche i non addetti ai lavori potessero fruirne. Per Migliaccio, impegnato per anni nel teatro musicale di ricerca, La Rosa di Corfù non è unadeguamento al post modernismo di moda, ma unaltra faccia di quello stesso spirito di ricerca.
Lintrigo, apparente dell"operetta" mostra fin da principio due coppie: quella nobile e fiera, Sissi e il poeta Nicos, da opera seria, e quella meno elevata, Max e Clara, da opera comica e sentimentale, più propensa al piacere della consumazione che a quello della parola poetica. Il canto perpetua questa divisione, ma lentrata in scena della voce senza volto allinizio del primo atto ci annuncia che una delle due coppie verrà stravolta. Infatti, dopo un avvio datto che serve ad offrirci il quadro della quotidianità della vita a Corfù dellimperatrice, nella terza scena, rigorosamente "nella notte", si leva una voce, voce che resterà senza volto fino alla fine dellopera, e che, come nella migliore tradizione, infittisce il mistero e ingarbuglia i fili dellintrigo. Canta una serenata (parafrasi di testi di poeti turco-persiani dal 1000 al 1500), sensuale e morbida fin nellaccompagnamento strumentale, un tradizionalissimo clavicembalo "straniato", orientaleggiante, come nella migliore tradizione dellesotismo secondo impero delle orientales di Saint-Saëns. E una voce di contralto: "Vaga r0osa di mia vita, senza nome sconosciuta, nel mio giardin di già fiorita, E pur sì tanto amata". Si scatena una affannosa ricerca da parte di Sissi, Clara, Max e Nicos del volto che si cela dietro quella voce: i quattro personaggi si ingarbugliano tra di loro, si confondono, si cercano, si sospettano, si spiano in definitiva si chiedono: per chi è la serenata?
Dopo Wagner, Puccini, Strauss, loperetta, arriviamo a unaltra citazione, quella di Mozart-Da Ponte: come nel terzo atto del Figaro mozartiano, sono tutta una serie di travestimenti, di scambi di persone, di equivoci nelloscurità di un profumato giardino in notturno. La voce si fa sempre più invadente, sempre più scoperta, gli animi si infuocano, le gelosie si accendono, giungiamo a un duello vero e proprio, e fa capolino anche il Verdi del Don Carlos, due Elisabette, una di Valois una dAustria ("Che fate qui signore nottetempo, di qual bella cercate il favore? Voi la regina amate!") e, al momento dellintervento di Clara sconvolta, che pensa che i duellanti si sfidino entrambi per lei, arriva a000nche il Trovatore: "Fermate, per me non vi battete ". La danza, un topos delloperetta, non può mancare nella Rosa di Corfù0 che, non dimentichiamo, è per l0appunto unoperetta, se pur da camera; ecco le danze teucre che a differenza di tanta musica per danza inserita a puro scopo decorativo nel 0grand opéra francese, qui n0on sono mero ornamento ma sono funzionali alla vicenda.
Ma non fa il verso solo alla tradizione del bel canto, La rosa di Corfù: ammicca anche alloperetta straussiana, al valzer con un ritmo ternario mascherato (sigla ritmica della terzina puntata) che invade la partitura fin da principio senza volersi scoprire apertamente come vero e proprio valzer se non in una occasione, alla musica ungherese (si ascolti la czarda dellAdagio ungherese che apre il terzo atto), allesotismo musicale, alla citazione che fa il verso allo stile settecentesco della musica alla turca nella danza, fino alla spinta comicità del "tangone dAchille", il tango di Max travestito da donna nel giardino di notte. Nessuna di queste musiche, neanche lo stile vocale, è pura citazione di altro, ma divertito e raffinato ammiccamento, che necessita della complicità dellascoltatore-spettatore per essere goduto fino in fondo, ma che è totalmente fruibile anche senza che si abbia precisa coscienza di quale degli innumerevoli universi della storia dellopera sia nel dato momento il protagonista.
Arriviamo allepilogo dellopera, senza offrire al lettore la soluzione, che va scoperta. Quel che è certo è che nessuna operetta tra otto e novecento sarebbe mai potuta finire come La Rosa di Corfù! "O Rosa centifoglia / Sei del destin alla soglia / Un batter sol di ciglia / E sia paga la tua voglia" cantano limperatrice Sissi, la sua dama di compagnia Clara, il poeta greco Nicos e il capitano Max nella penultima scena de La Rosa di Corfù. Il gioco di ombre e luci, di inganni e stratagemmi, di sospetti e certezze che ha ingarbugliato i fili dellintrigo si sta infine sciogliendo dopo avere toccato il vertice. Come in un romanzo giallo - e come in unoperetta tradizionale - stiamo raggiungendo infine la svolta. Scopriremo finalmente un volto dietro lanonima voce sulla quale per tre atti e mezzo si sono svolte le indagini dei personaggi e si è appuntata la curiosità degli spettatori, avremo finalmente la chiave del chi è. Ce laprirà il finale: "Alla fine quel nome, ci ha tenuto tanto . sulle spine" motteggia Clara, "Il nome, il nome", echeggiano gli altri.
Lultima scena potrebbe essere una barcarola: e in effetti la barca cè, né fa difetto il ritmo ternario mascherato e landamento cullante tipico della barcarola. E sono già le indicazioni dinamiche a sviluppare il filo con cui si risolve la trama, prima ancora che il dialogo, in questo gioco di apparenze apparentemente felice. Passiamo da un "Andantino berceuse" a un "Adagio incantato" (Dalla barca): "O notte incantata, o rosa beata" canta il poeta; e sull"Andantino sognante" si scioglie (o si complica?) lenigma. Segue un "Andantino cullante", sul quale i personaggi rimasti a terra augurano ai partenti "Sia calmo il mare" ("Soave sia il vento, tranquilla sia londa"00000 dicevano Fiordiligi, Dorabella e Don Alfonso in Così fan tutte). Dopo un "libero", che diventa "più vivo e scintillante"0, abbiamo un "non troppo allegro" con l0augurio finale dellimperatrice, velato di realistica malinconia: "O rosa centifoglia, il ciel non voglia che cambi in doglia la tua verde fo0glia"! (allusione alle passerelle celebri delle operette di Lombardi-Ranzato). E via, un "Solenne", seguito da un "Maestoso", ripiegato poi in un "Andante ricordo" - non può mancare in chiusura lErinnerung del malinconico rimpianto dellebbrezza che aveva animato i personaggi allinizio della vicenda che prende le movenze di un "Largamente". Ed ecco l"Andantino stanco", che ci dice tutto del rientro nella norma e della fine della folle nottata sotto il cielo di Corfù.
Limperatrice, come la Marescialla dellaltra rosa, quella del Rosenkavalier di Strauss, rientra nel suo ruolo, riprende le sue vesti: Sissi torna a essere Elisabetta come Bichette era rientrata, alla fine dellopera di Strauss, nelle vesti matronali di Marie Therese, principessa von Werdenberg. "Altro non rimane rientriamo" dice Sissi, e trovare il tono giusto per questa sola frase è altrettanto difficile di trovarlo per il "Ja, ja" che sottolinea, alla fine del Rosenkavalier il distacco della Marescialla dal suo sogno damore e dai due giovani felici amanti: non erano loro, né la Marescialla né lImperatrice, le destinatarie delle rose, quella dargento e quella di Corfù. Ma solo loro potevano assicurare che il fiore arrivasse nelle mani giuste. Quel parlato da rapida comunicazione con cui Max dà una notizia felice a Sissi - larrivo il giorno seguente della sorella Nenè, - serve a rompere la tensione musicale e a ricondurre per un istante il clima rassicurante delloperetta: deve sembrare, ancora una apparenza, che non si lasci rimpianto alcuno nello spettatore. E uscita di scena la protagonista, Sissi. Non può che chiudere 0la vicenda musicale un "Adagio felice", il tripudio sensuale della coppia eletta che, con linevitabile "Amore mio", si abbandona alla gioia dimentica del mondo. "Spur nur dich allein", "Non esisti che tu", avevano cantato alluscita della Marescialla le due voci femminili del Rosenkavalier.
La felicità della coppia di amanti è tale che essa esclude ogni altra presenza, persino il rimpianto per la Marescialla o quello per Sissi. La barca si stacca dalla riva e un tutti fuori scena lancia un ah! in fortissimo su un bellaccordo di Si maggiore dello storico accordo guarda caso lo stesso Si maggiore che conclude il Tristan - con quella enorme distanza dei bassi dagli acuti che dà lidea dello specchiarsi della luce della luna nella profondità del mare. Sipario.
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